Il fiume siamo noi: dalla paura alla responsabilità, restituiamo un’anima ai nostri corsi d’acqua
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Mentre l’Europa investe miliardi per fiumi vivi e fruibili, l’Italia sceglie la scorciatoia del proibizionismo. È ora di cambiare visione, riconoscendo i diritti del fiume e i doveri di tutti.
Come abbiamo già illustrato in un precedente articolo, una pericolosa ondata di proibizionismo sta tentando di allontanare i cittadini dai fiumi italiani. Alimentata da recenti tragedie, questa campagna colpevolizza chiunque desideri vivere il fiume, dipingendolo come un cittadino incauto o irresponsabile.
È una narrazione inaccettabile.
La sicurezza è e deve essere sempre al primo posto, in montagna come al mare, in un bosco come lungo un fiume. Ma la sicurezza si costruisce con la conoscenza, la preparazione, la consapevolezza e la responsabilità personale, non con divieti generalizzati e falsi allarmi.
Interdire non è proteggere: è arrendersi.
Ed è un’offesa all’intelligenza dei cittadini e al valore intrinseco dei nostri fiumi.
L’Italia controcorrente: la via della paura contro la visione europea
Ribadiamo un fatto inequivocabile: l’affermazione del Distretto Idrografico Alpi Orientali e di altri amministratori, secondo cui “la balneazione fluviale è generalmente vietata”, è falsa. Le ordinanze dei sindaci sono strumenti specifici per aree inquinate o pericolose, non una legge universale.
Ma è proprio questa la narrazione che fa comodo. Mentre da noi si fomenta la fobia, il resto d’Europa investe, progetta e sogna. Il titanico sforzo di Parigi per rendere balneabile la Senna, il colossale progetto Thames Tideway Tunnel di Londra da 6 miliardi di euro per depurare il Tamigi, le innumerevoli iniziative olandesi per riportare alla luce e riqualificare i corsi d’acqua tombinati nel dopoguerra: questi non sono capricci, ma investimenti strategici per la qualità della vita, la biodiversità e il futuro delle città.
Questi paesi hanno capito ciò che noi ignoriamo: la rigenerazione urbana e territoriale parte dai fiumi. Iniziative come il Big Jump e direttive comunitarie come la 2000/60/EC e la Strategia UE sulla Biodiversità 2030 tracciano una rotta chiara.
L’Italia, invece, rema in direzione opposta.
A chi giova un fiume deserto?
Dobbiamo porci una domanda scomoda: a chi serve un fiume temuto e inaccessibile?
Un fiume svuotato della presenza consapevole dei cittadini diventa terra di nessuno, o meglio, terra di pochi. Diventa dominio incontrastato degli “addetti ai lavori”: i cavatori, i Consorzi di bonifica che ne governano le acque con logiche spesso produttivistiche, i predatori di risorse che vedono nel fiume solo un asset da sfruttare.
Tenere i cittadini lontani significa eliminare il controllo sociale, le sentinelle del territorio, le voci critiche che denunciano uno scarico abusivo o una captazione eccessiva. Il “pericolo” diventa così il pretesto perfetto per gestire un bene comune come una risorsa privata.
Un cambio di visione: il fiume come organismo vivente
È il momento di un radicale cambio di paradigma.
Il fiume non è un canale di scolo, né un mostro idraulico.
È la più importante infrastruttura verde e blu che abbiamo. È una fonte inesauribile di beni e servizi ecologici, un corridoio di biodiversità fondamentale, l’ultimo baluardo di naturalità in un territorio sempre più sigillato dal cemento. Il nostro riscatto ambientale deve partire da qui, dalla tutela della sua integrità e dalla ricostruzione di una rete ecologica coesa che si dipana a partire dall’asta fluviale.
Per farlo, dobbiamo compiere un passo ulteriore, come la Comunità dei Fiumi e il movimento per i Contratti di Fiume sostengono da tempo. Dobbiamo riconoscere che il fiume non “appartiene” a noi, ma prima di tutto a sé stesso. È un organismo complesso, un’entità vivente che merita il riconoscimento di una personalità giuridica.
Non è utopia: è già realtà per il fiume Whanganui in Nuova Zelanda, per il Gange e lo Yamuna in India, e per altri corsi d’acqua in Colombia, Canada e Perù. La Dichiarazione Universale dei Diritti dei Fiumi è un manifesto globale che ci invita a vedere il corso d’acqua non come un oggetto da dominare, ma come un soggetto da rispettare.
Un patto per il futuro. Il fiume siamo noi.
La vera sicurezza nasce da un nuovo patto tra cittadini, istituzioni e fiume. Un patto fondato su una triplice responsabilità:
- delle Istituzioni: garantire la sicurezza idraulica attraverso la manutenzione e, soprattutto, attraverso la riqualificazione ecologica, non con il proibizionismo. Devono promuovere la conoscenza, non la paura.
- dei cittadini: frequentare il fiume con consapevolezza, rispetto e preparazione, diventandone i primi custodi.
- verso il Fiume: tutelarne l’integrità ambientale e i diritti intrinseci, come faremmo per qualsiasi essere vivente.
Solo così potremo garantire la sicurezza di tutti e, al tempo stesso, consentire al cittadino consapevole di vivere pienamente il proprio territorio. Tuffarsi in un’acqua pulita non è un atto di incoscienza, ma l’atto finale di un percorso di riavvicinamento e di riconciliazione. È il momento in cui si comprende di essere parte di un tutto più grande.
Perché, in fondo, il fiume siamo noi.
